Ricorso  della Regione Emilia-Romagna, in, persona del presidente
della  giunta  regionale  pro tempore, sig. Vasco Errani, autorizzato
con  deliberazione  della  giunta regionale n. 506 del 10 aprile 2006
(doc.  1),  rappresentata e difesa, come da procura speciale a rogito
del  notaio  dott.  Federico  Stame di Bologna, rep. n. 49876 dell'11
aprile  2006 (doc. 2), dal prof. avv. Giandomenico Falcon del foro di
Padova e dall'avv. Luigi Manzi del foro di Roma, con domicilio eletto
presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri, n. 5;

    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione   di   illegittimita'  costituzionale  della  legge  21
febbraio  2006,  n. 49,  conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge  30  dicembre  2005, n. 272, recante misure urgenti per
garantire  la  sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi
invernali,     nonche'    la    funzionalita'    dell'amministrazione
dell'interno.    Disposizioni    per    favorire   il   recupero   di
tossicodipendenti recidivi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 48
del  27  febbraio  2006 - Supplemento ordinario n. 45, nella parte in
cui inserisce nel testo del decreto-legge i seguenti articoli:
        art. 4-undecies;
        art. 4-quaterdecies;
        art. 4-quinquiesdecies,
per  violazione  degli  articoli  117,  commi  3  e 4, 118, 119 della
Costituzione  e  del principio di leale collaborazione tra lo Stato e
le regioni.

                              F a t t o

    La  Regione  Emilia-Romagna  e'  dotata  di  potesta' legislativa
concorrente  nella  materia della «tutela della salute» e di potesta'
legislativa piena nella materia delle politiche sociali.
    Con  il  decreto-legge  30  dicembre  2005,  n. 272,  sono  state
adottate   «misure   urgenti   per   garantire   la  sicurezza  ed  i
finanziamenti   per  le  prossime  Olimpiadi  invernali,  nonche'  la
funzionalita'  dell'amministrazione dell'interno», e sono state anche
dettate  «disposizioni  per favorire il recupero di tossicodipendenti
recidivi».   Della   materia   della  tossicodipendenza,  dunque,  il
decreto-legge  n. 272  del  2005  si  occupava in un solo articolo, e
precisamente  all'art. 4, concernente Esecuzione delle pene detentive
per tossicodipendenti in programmi di recupero.
    E'  poi  accaduto che, nel corso del procedimento di conversione,
siano  state  inserite  nel decreto-legge numerose disposizioni nella
stessa  materia:  addirittura,  sono  stati  aggiunti 22 articoli (da
4-bis  a  4-vicies ter), la grande maggioranza dei quali modificano o
sostituiscono  disposizioni  del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, Testo
unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina degli stupefacenti e
sostanze  psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
stati i tossicodipendenza.
    In  questo  modo,  si e' operata una vera e propria riforma della
materia  della tossicodipendenza, utilizzando a tal fine la sede, del
tutto  impropria, del procedimento di conversione di un decreto-legge
che   aveva  altro  oggetto.  Lo  stravolgimento  del  contenuto  del
decreto-legge  risulta  anche  per tabulas, dato che l'ultimo periodo
dell'allegato  alla  legge  di  conversione  modifica  il  titolo del
decreto-legge,  aggiungendo  le  parole  «e  modifiche al testo unico
delle  leggi  in  materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope,  prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza,  di cui al decreto del Presidente della Repubblica
9 ottobre 1990, n. 309».
    Tale  distorsione  della procedura di conversione configura, come
si  vedra',  un autonomo vizio di costituzionalita', che in ogni modo
la  ricorrente  regione  ha  interesse  a  fare  valere  soltanto  in
relazione   alle  disposizioni  qui  impugnate,  le  quali  risultano
illegittime  e  lesive delle attribuzioni regionali anche per il loro
intrinseco contenuto.
    Esse vengono, pertanto, impugnate per le seguenti ragioni di

                            D i r i t t o

    1)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 4-quinquiesdecies, in
relazione all'art. 116, comma 1, prima parte, d.P.R. n. 309/1990.
    L'art.  4-quinquiesdecies,  decreto-legge n. 272/2005, introdotto
dalla   legge  n. 49/2006,  sostituisce  l'articolo  116  del  d.P.R.
n. 309/1990.  Il  nuovo  art. 116  e'  intitolato  Livelli essenziali
relativi  alla  liberta'  di  scelta  dell'utente  e ai requisiti per
l'autorizzazione delle strutture private.
    Il  comma  1  stabilisce  che  «le  regioni...  assicurano, quale
livello  essenziale  delle  prestazioni  ai  sensi dell'articolo 117,
secondo  comma,  lettera m) della Costituzione, la liberta' di scelta
di  ogni  singolo  utente  relativamente  alla  prevenzione,  cura  e
riabilitazione delle tossicodipendenze».
    La norma e' ad avviso della ricorrente regione costituzionalmente
illegittima sotto distinti profili.
    In  primo luogo, appare evidente che la liberta' di scelta non e'
un   livello  essenziale  delle  prestazioni.  Codesta  ece.ma  Corte
costituzionale  ha  ormai precisato piu' volte il concetto di livelli
essenziali delle prestazioni, in modo da individuare - e delimitare -
gli  esatti  confini  di  tale competenza esclusiva statale. Cosi, la
sentenza  n. 383/2005 ha stabilito che «tale titolo di legittimazione
puo'  essere  invocato  solo  "in  relazione a specifiche prestazioni
delle quali la normativa nazionale definisca il livello essenziale di
erogazione",  mentre esso non e' utilizzabile" al fine di individuare
il  fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato,
di interi settori materiali" (cfr., da ultimo, la sentenza n. 285 del
2005)»;  e  la  sent.  n. 271/2005  ha negato che si potesse invocare
l'art. 117,  comma  2,  lett.  m) in quanto «la legislazione sui dati
personali  non  concerne  prestazioni, bensi' la stessa disciplina di
una   serie   di   diritti   personali  attribuiti  ad  ogni  singolo
interessato».
    Ora,  la norma che prevede «la liberta' di scelta di ogni singolo
utente  relativamente  alla  prevenzione, cura e riabilitazione delle
tossicodipendenze»  non definisce il livello essenziale di erogazione
di  alcuna  specifica  prestazione,  ma  stabilisce  il diritto degli
utenti  di  poter scegliere da chi ricevere una serie di prestazioni.
Oggetto  e  scopo  della  disposizione non e' di garantire un livello
essenziale   di   una   certa   prestazione,  a  tutela  del  diritto
fondamentale  della salute, ma quello di parificare strutture private
e strutture pubbliche, nel quadro di un indirizzo politico perseguito
a  livello  statale  gia' da alcuni anni (si veda, ad es., il decreto
ministeriale  14  giugno  2002  sui  Sert,  annullato  dalla sentenza
n. 88/2003 di codesta Corte).
    A  questa  stregua,  il  nuovo  art. 116, comma 1, primo periodo,
disciplina un diritto che attiene ad un gruppo di prestazioni, ma non
definisce affatto il livello essenziale di queste prestazioni. Se non
ci fossero altre norme che regolano davvero e specificamente le varie
prestazioni    di    prevenzione,   cura   e   riabilitazione   delle
tossicodipendenze, la semplice liberta' di scelta dell'utente non gli
garantirebbe certo di avere prestazioni idonee.
    Dunque,  la  norma  impugnata  risulta  gia' illegittima e lesiva
delle  competenze  legislative ed amministrative regionali in materia
di  tutela  della salute e in materia di politiche sociali, in quanto
essa  intende  porre  un  vincolo nel settore della tossicodipendenza
sulla  base  di un titolo di competenza statale che, invece, non puo'
essere invocato in relazione al contenuto della norma.
    In  secondo luogo, la regola della libera scelta, ove concepita -
come  la  norma  impugnata appare concepirla - come espressione di un
principio  assoluto,  risulta costituzionalmente illegittima anche se
considerata  in  relazione  allo  specifico  contenuto dispositivo, a
prescindere dal titolo di legittimazione indicato.
    Infatti,  codesta  Corte  costituzionale  ha gia' precisato nella
sentenza  n. 200  del  2005  (nella quale ha dichiarato infondata una
questione  di  costituzionalita' di una legge regionale sollevata per
violazione   dei   principi   fondamentali   statali  in  materia  di
accreditamento  e  di  libera  scelta  da  parte dell'assistito della
struttura   sanitaria   alla   quale  richiedere  l'erogazione  delle
prestazioni)  che,  «tenendo  conto  dell'evoluzione della disciplina
concernente il sistema di erogazione e retribuzione delle prestazioni
specialistiche...,  il  principio di libera scelta non appare affatto
assoluto,  dovendo  invece  essere  contemperato  da altri interessi,
costituzionalmente   tutelati,  puntualmente  indicati  da  norme  di
principio della legislazione statale».
    In  tale  occasione  codesta  Corte  costituzionale  ha, appunto,
ricordato varie leggi statali, che hanno posto condizioni all'accesso
alle  strutture  private  convenzionate  con  il  servizio  sanitario
nazionale,  ed  ha concluso che «appare... evidente come l'evoluzione
della legislazione sanitaria fino a circa la meta' degli anni Novanta
-  per  non  dire  di quella successiva che peraltro non rileva nella
questione  di  costituzionalita'  in esame - abbia messo in luce che,
subito  dopo  l'enunciazione  del  principio  della  parificazione  e
concorrenzialita' tra strutture pubbliche e strutture private, con la
conseguente facolta' di libera scelta da parte dell'assistito, si sia
progressivamente  imposto  nella  legislazione sanitaria il principio
della  programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento della
spesa  pubblica  ed  una razionalizzazione del sistema sanitario». In
questo  modo  - continua sempre la citata sentenza - «si e' temperato
il   predetto   regime   concorrenziale   attraverso   i   poteri  di
programmazione propri delle regioni e la stipula di appositi "accordi
contrattuali" tra le USL competenti e le strutture interessate per la
definizione  di  obiettivi,  volume  massimo  e  corrispettivo  delle
prestazioni  erogabili  (cfr.  art. 8-quinquies  del d.lgs. 19 giugno
1999, n. 229)» (punto 2 del Diritto).
    Del  resto,  gia'  nella  sentenza  n. 416/1995  la  Corte  aveva
stabilito che «la liberta' di scegliere, da parte dell'assistito, chi
chiamare  a fornire le prestazioni sanitarie non comporta affatto una
liberta'  sull'an  e sull'esigenza delle prestazioni, in quanto resta
confermato   il   principio   fondamentale   che  l'erogazione  delle
prestazioni soggette a scelte dell'assistito e' subordinata a formale
prescrizione a cura del servizio sanitario nazionale».
    Il   contemperamento   tra   l'interesse  alla  libera  scelta  e
l'interesse  organizzativo  e  finanziario del servizio pubblico deve
ritenersi   costituzionalmente  imposto,  sia  con  riferimento  alla
potesta'  legislativa  di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, sia
con  riferimento all'autonomia finanziaria di cui all'art. 119, primo
comma.
    Dunque,   la   legge  statale  non  puo'  imporre  come  «livello
essenziale delle prestazioni» un diritto che, in realta', deve essere
sottoposto  a  condizioni  per  contemperarlo  con altri interessi di
livello   costituzionale  (come  risulta  dalla  stessa  legislazione
statale  e dalla giurisprudenza costituzionale). L'imposizione in via
assoluta   della   liberta'  di  scelta  degli  utenti  lederebbe  le
competenze  legislative ed amministrative della regione in materia di
tutela  della  salute  e  politiche  sociali.  In  particolare, e' da
sottolineare  che,  in  attuazione del principio della programmazione
menzionato    dalla   stessa   Corte   costituzionale,   la   Regione
Emilia-Romagna  si  e'  dotata di uno specifico modello organizzativo
del    Servizio    sanitario    regionale,    caratterizzato    dalla
«programmazione  a  rete» e dalla regolazione dell'offerta pubblica e
privata delle prestazioni e dei servizi (v. art. 2, comma 2, lett. c)
l.r.   n. 29/2004).   La  norma  statale  qui  censurata  inciderebbe
inevitabilmente sull'assetto organizzativo sanitario regionale.
    Ma,  oltre  all'art. 117,  commi  3  e  4,  e all'art. 118 Cost.,
sarebbe  violato,  come  detto,  l'art. 119  perche'  il principio di
liberta'   di  scelta  -  imposto  in  via  assoluta  -  aumenterebbe
notevolmente  le  spese  a  carico  del  bilancio  regionale  in  uno
specifico   settore,   con   violazione   dell'autonomia  finanziaria
regionale  (aggravata  dal  fatto  che  la  legge  n. 49/2006  non si
preoccupa minimamente di fornire risorse corrispondenti).
    Infatti,  per assicurare la liberta' di scelta di ogni utente, la
regione sarebbe costretta ad aumentare il numero dei convenzionamenti
ex  art. 8-quinquies,  d.lgs.  n. 502/1992,  oppure a non porre tetti
massimi  di  spesa  negli  accordi  stipulati ai sensi della medesima
disposizione.
    2)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 4-quinquiesdecies, in
relazione all'art. 116, comma 2, d.P.R. n. 309/1990.
    Il  nuovo  art.  116,  comma  2,  d.P.R.  n. 309/1990, in tema di
autorizzazione delle strutture private, dispone come segue:
        «L'autorizzazione   alla  specifica  attivita'  prescelta  e'
rilasciata   in   presenza   dei   seguenti   requisiti  minimi,  che
rappresentano  livelli essenziali ai sensi dell'articolo 117, secondo
comma, lettera m), della Costituzione:
          a)  personalita'  giuridica di diritto pubblico o privato o
natura  di  associazione  riconosciuta o riconoscibile ai sensi degli
articoli 12 e seguenti del codice civile;
          b) disponibilita' di locali e attrezzature adeguate al tipo
di attivita' prescelta;
          c) personale dotato di comprovata esperienza nel settore di
attivita' prescelto;
          d)  presenza  di un'equipe multidisciplinare composta dalle
figure  professionali  del medico con specializzazioni attinenti alle
patologie  correlate  alla  tossicodipendenza  o del medico formato e
perfezionato  in  materia  di tossicodipendenza, dello psichiatra e/o
dello   psicologo   abilitato   all'esercizio  della  psicoterapia  e
dell'infermiere  professionale,  qualora  l'attivita'  prescelta  sia
quella di diagnosi della tossicodipendenza;
          e)    presenza   numericamente   adeguata   di   educatori,
professionali  e  di comunita', supportata dalle figure professionali
del medico, dello psicologo e delle ulteriori figure richieste per la
specifica   attivita'   prescelta   di   cura  e  riabilitazione  dei
tossicodipendenti».
    Tale    disposizione,   dunque,   fissa   determinati   requisiti
strutturali,   tecnologici   ed   organizzativi  per  l'esercizio  di
attivita'   sanitaria   e   socio-sanitaria   a  favore  di  soggetti
tossicodipendenti, e qualifica quei requisiti «livelli essenziali» ai
sensi  dell'art. 117,  secondo  comma, lett. m), Cost. Il legislatore
statale cerca di fondare le proprie norme con un titolo di competenza
esclusiva,   ritenendole   evidentemente  complesivamentc  prive  del
carattere  di  principi  fondamentali.  Ma  il  titolo  di competenza
esclusiva  risulta  ad  avviso  della ricorrente regione invocato del
tutto inpropriamente ed illegittimamente.
    Infatti,  la  questione  se  i  requisiti delle strutture possano
essere  considerati  «livelli essenziali» ex art. 117, secondo comma,
lett.  m),  e' gia' stata risolta in senso negativo da codesta Corte.
Di  fronte  all'impugnazione  di una legge regionale che regolava gli
standard  strutturali e qualitativi degli asili nido, impugnata - fra
l'altro  -  in  riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. m), la
sentenza  n. 120/2005  ha  precisato  che,  poiche'  gli  asili  nido
ricadono   nella   competenza   legislativa   concorrente,   «risulta
impossibile  "negare la competenza legislativa delle singole regioni,
in  particolare  per  la  individuazione di criteri per la gestione e
l'organizzazione  degli  asili,  seppure  nel  rispetto  dei principi
fondamentali  stabiliti dal legislatore statale» (sentenza n. 370 del
2003)».  Inoltre,  la  stessa sentenza ha espressamente affermato che
«la tesi che gli standard strutturali e qualitativi di cui alla norma
impugnata   si   identificherebbero   con  livelli  essenziali  delle
prestazioni  ...  non  puo'  essere  condivisa  in  quanto  la  norma
censurata  non determina alcun livello di prestazione" limitandosi ad
incidere  sull'assetto organizzativo e gestorio degli asili nido che,
come  si  e' detto, risulta demandato alla potesta' legislativa delle
regioni» (punto 2 dei Diritto).
    Poiche'  le  attivita'  sanitarie  e  socio-sanitarie a favore di
soggetti   tossicodipendenti   rientrano  in  materie  di  competenza
regionale  concorrente  (tutela  della  salute)  o  piena  (politiche
sociali),   le   considerazioni  svolte  nella  sentenza  n. 120/2005
evidenziano  allo  stesso  modo  l'illegittimita' del nuovo art. 116,
comma  2, d.P.R. n. 309/1990. In effetti, se, come gia' ricordato, la
competenza  sui  livelli  essenziali  «puo'  essere invocata solo "in
relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa nazionale
definisca  il  livello  essenziale  di  erogazione", mentre... non e'
utilizzabile  al  fine  di  individuare  il fondamento costituzionale
della  disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali»
(sent.  n. 383/2005), pare chiaro che i requisiti fissati dalla norma
impugnata non rappresentano «livelli essenziali».
    Il  nuovo  art. 116,  comma 2, si occupa delle strutture e non di
specifiche  prestazioni,  tanto  e'  vero  che  certi  requisiti sono
lasciati  indeterminati,  perche'  variano  in  base  alla «attivita'
prescelta».
    Del  resto, se si ammettesse che lo Stato ha competenza esclusiva
in  materia  di  standard  delle  strutture  che  erogano prestazioni
sanitarie,  su  questo  punto  rischierebbe  di  essere vanificata la
competenza  legislativa  regiona1e  lo  Stato,  invocando l'art. 117,
secondo  comma,  lett.  m), potrebbe comprimere unilateralmente ed in
modo  indefinito  l'autonomia  regionale,  senza  in realta' regolare
specifiche prestazioni.
    Si  noti  che  non potrebbe, invece, essere utilmente invocata, a
difesa  della  norma  impugnata,  la sentenza n. 13 4/2006 di codesta
Corte.  In  quel  caso,  infatti,  la legge statale si occupava degli
«standard   qualitativi,  strutturali,  tecnologici,  di  processo  e
possibilmente  di  esito, e quantitativi di cui ai livelli essenziali
di  assistenza»:  essa,  dunque,  riguardava  gli  standard non delle
strutture  ma delle specifiche prestazioni e, in effetti, la Corte ha
fatto  salva  la  norma  solo  in quanto la «disposizione legislativa
individua  gli  standard  in  termini tali da rendere evidente che si
tratta  di  integrazioni  e specificazioni sul versante attuativo dei
LEA esistenti nel settore sanitario».
    Nel  suo  complesso,  dunque, la giurisprudenza costituzionale ha
tenuto fermo il principio secondo il quale l'art. 117, secondo comma,
lett.  m) puo' essere invocato solo quando si definiscono i livelli e
gli  standard  di  specifiche  prestazioni, e non quando si fissano i
requisiti  delle  strutture  che  erogano  prestazioni  attinenti  ai
diritti sociali.
    Di  qui  l'illegittimita'  costituzionale  dei vincoli posti alle
regioni dalla norma sopra citata.
    3) Illegittimita' dell'art. 4-quaterdecies.
    L'art. 4-quaterdecies sostituisce l'art. 113, d.P.R. n. 309/1990,
che   nella   nuova  versione  affida  alle  regioni  il  compito  di
disciplinare  l'attivita' di prevenzione, cura e riabilitazione delle
tossicodipendenze «nel rispetto dei principi di cui al presente testo
unico»,  ed in particolare di «seguenti» principi. Ed i «principi» di
seguito  fissati  ribadiscono  le  scelte  di fondo gia' censurate in
relazione  all'art. 4-quinquiesdecies:  parificazione  fra  strutture
pubbliche  e  private  e fissazione dei requisiti delle strutture che
svolgono le attivita' di cui sopra.
    Infatti,  la  lett. a) prevede che «le attivita' di prevenzione e
di  intervento  contro  l'uso  di  sostanze stupefacenti o psicotrope
siano  esercitate  secondo uniformi condizioni di parita' dei servizi
pubblici  per  l'assistenza  ai  tossicodipendenti  e delle strutture
private  autorizzate  dal  Servizio sanitario nazionale»; la lett. b)
dispone  che  «i  servizi  pubblici  per  le  tossicodipendenze  e le
strutture  private  che  esercitano  attivita' di prevenzione, cura e
riabilitazione  nel  settore, devono essere in possesso dei requisiti
strutturali"   tecnologici,   organizzativi   e   funzionali  di  cui
all'articolo   116»   la  lett.  c)  stabilisce  che  «la  disciplina
dell'accreditamento  istituzionale dei servizi e delle strutture, nel
rispetto  dei  criteri  di  cui  all'articolo  8-quater  del  decreto
legislativo  30  dicembre  1992,  n. 502  e successive modificazioni,
garantisce  la  patita'  di  accesso  ai  servizi ed alle prestazioni
erogate  dai servizi pubblici e dalle strutture private accreditate»;
infine,  la  lett.  d)  statuisce  che  «ai  servizi e alle strutture
autorizzate,  pubbliche e private, spettano, tra l'altro, le seguenti
funzioni:  1)  analisi  delle  condizioni cliniche, socio-sanitarie e
psicologiche   del   tossicodipendente  anche  nei  rapporti  con  la
famiglia;  2)  controlli  clinici  e  di  laboratorio  necessari  per
accertare  lo  stato  di  tossicodipendenza  effettuati  da strutture
pubbliche   accreditate   per  tali  tipologie  di  accertamento;  3)
individuazione   del  programma  farmacologico  o  delle  terapie  di
disintossicazione e diagnosi delle patologie in atto, con particolare
riguardo  alla  individuazione precoce di quelle correlate allo stato
di  tossicodipendenza;  4)  elaborazione, attuazione e verifica di un
programma  terapeutico  e  socio-riabilitativo,  nel  rispetto  della
liberta'  di  scelta del luogo di trattamento di ogni singolo utente;
5)  progettazione  ed  esecuzione  in  forma  diretta  o indiretta di
interventi di informazione e prevenzione».
    La  norma  di  cui  alla lett. b), richiamando i requisiti di cui
all'art. 116,  e' illegittima per le medesime ragioni gia' illustrate
nel  punto 2. Inoltre, tali requisiti non possono essere giustificati
come principi, trattandosi di precisazioni organizzative di carattere
dettagliato  ed  autoapplicativo  (tanto  vero  che l'art. 116 invoca
l'art. 117,  secondo  comma,  lett.  m), per cui esse pregiudicano in
modo illegittimo l'autonomia regionale.
    In piu', la norma estende agli stessi Sert il vincolo al rispetto
quei  requisiti,  violando,  dunque,  la  competenza  legislativa  ed
amministrativa   regionale   in,   materia  di  tutela  della  salute
(art. 117,  terzo  comma,  Cost.)  e  di politiche sociali (art. 117,
quarto   comma,   Cost.),   in   particolare   quanto   agli  aspetti
organizzativi.
    Si puo' qui ricordare, sia con riferimento alle strutture private
che ai Sert, che gia' in base all'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 502/1992
spettano  «in particolare alle regioni la determinazione dei principi
sull'organizzazione  dei  servizi»,  e  che  poi  codesta  Corte  «ha
affermato  che  la  competenza legislativa concorrente concernente la
"tutela  della salute" (art. 117, terzo comma, della Costituzione) e'
"assai  piu' ampia" rispetto alla precedente relativa all'"assistenza
ospedaliera"  (sentenza n, 270 dei 2005) ed esprime "l'intento di una
piu'  netta  distinzione  fra la competenza regionale a legiferare in
queste  materie e la competenza statale, limitata alla determinazione
dei  principi  fondamentali  della  disciplina"  (sentenza n. 282 del
2002)» (sentenza n. 134/2006, punto 8 del Diritto).
    Quanto alle norme di cui alle lett. a), c) e d), esse ribadiscono
il   principio   ispiratore  della  legge  qui  impugnata,  cioe'  la
parificazione  incondizionata  delle  strutture pubbliche e di quelle
private  (addirittura  le  lett.  a)  e  d)  fanno  riferimento  alle
strutture  private  «autorizzate»,  mentre  la lett. c) menziona solo
quelle «accreditate»).
    Esse  risultano  illegittime  per  ragioni analoghe a quelle gia'
illustrate  nel  punto 1). Il legislatore statale non puo' fissare il
principio  della  liberta'  di  scelta incondizionata e della parita'
assoluta  tra  strutture  pubbliche e strutture private, in quanto il
principio   della  liberta'  di  scelta  va  contemperato  con  altri
interessi di rango costituzionale, indicati dalla stessa legislazione
statale  e  riconosciuti dalla sentenza n. 200/2005. Dunque, le lett.
a),  c) e d) ledono le competenze legislative ed amministrative della
regione,  nonche'  la  sua autonomia finanziaria, nelle materie della
tutela  della  salute  e  delle  politiche  sociali,  perche' pongono
vincoli oirganizzativi irrazionali.
    Se   il   legislatore   pone   vincoli  alle  regioni  con  norme
illegittime, la sfera di competenza regionale o' chiaramente lesa, in
quanto  la  regione  risulterebbe  tenuta ad attuare le norme statali
adottando   norme  ed  atti  amministrativi  affetti  da  conseguente
illegittimita',  e  per giunta si troverebbe esposta al rischio della
contestazione  di  tali atti in ragione della loro illegittimita'. In
altre  parole,  le norme statali che vincolano l'azione regionale, se
illegittime,  risultano  lesive  delle  competenze  regionali perche'
rappresentano  im  illegittimo  quadro  dell'azione regionale: il che
costituisce  fattore  di instabilita' degli atti regionali attuativi,
con  conseguente  violazione  anche  del  principio  di  certezza del
diritto.
    Inoltre,  come  visto,  il  principio di liberta' di scelta - ove
imposto in via assoluta - aumenterebbe notevolmente le spese a carico
del  bilancio  regionale  in  uno  specifico settore, con conseguente
violazione dell'art. 119 Cost.
    E'  vero che l'art. 4-sexiesdecies decreto-legge n. 272/2005, che
sostituisce    l'art. 117    d.P.R.   n. 309/1990,   stabilisce   che
«l'esercizio   delle  attivita'  di  prevenzione,  cura,  recupero  e
riabilitazione  dei  soggetti  dipendenti  da sostanze stupefacenti e
psicotrope,  con  oneri  a carico del Servizio sanitario nazionale e'
subordinato   alla   stipula   degli   accordi  contrattuali  di  cui
all'articolo  8-quinquies»,  d.lgs. n. 502/1992, ribadendosi cosi' il
principio  generale  posto  dall'art. 8-bis d.lgs. n. 502/1992; ma le
disposizioni  impugnate  dettano  norme contrastanti con il principio
della  programmazione  di  cui  alla sentenza n. 200/2005, sancendo -
appunto - il principio della liberta' di scelta.
    Per  rispettare  tale  principio, la regione sarebbe costretta ad
aumentare  il numero dei convenzionamenti ex art. 8-quinquies, d.lgs.
n. 502/1992,  oppure a non porre tetti massimi di spesa negli accordi
stipulati  ai sensi della medesima disposizione, con notevole aumento
di  spesa:  di qui la violazione dell'autonomia finanziaria regionale
e,  quindi,  dell'art. 119  Cost.  (aggravata  dal fatto che la legge
n. 49/2006   non   si   preoccupa   minimamente  di  fornire  risorse
corrispondenti).
    L'irragionevolezza e la lesivita' delle norme impugnate risultano
chiaramente  nel  confronto  con  le  norme  statali  generali  sulla
materia: sia dalle disposizioni citate nella sentenza n. 200/2005 sia
dall'art. 8-quinquies,  comma  2,  d.lgs. n. 502/1992 risulta che gli
accordi  tra  regioni  e  USL e strutture private devono prevedere il
numero   massimo   di   prestazioni  erogabili  ed  il  corrispettivo
preventivato, per evidenti ragioni di razionalizzazione organizzativa
e  contenimento  di  spesa. Le norme impugnate, sancendo il principio
della liberta' di scelta, derogano alle norme di cui sopra.
    Pur  se il contrasto con una norma legislativa non rappresenta di
per  se'  un  vizio  di legittimita' costituzionale, esso concorre ad
evidenziare  la  complessiva  illegittimita'  delle  norme impugnate,
quando  le norme legislative sono - come nel caso di specie (v. sent.
n. 200/2005)  -  attuative  di  principi  costituzionali,  come sopra
esposto.
    4)  Illegittimita'  dell'art. 4-quinquiesdecies,  in relazione al
nuovo  art. 116,  comma  9,  d.P.R.  n. 309/1990,  nella parte in cui
predetermina l'organo regionale competente.
    Il   nuovo   comma   9  dell'art. 116  d.P.R.  n. 309/1990,  come
modificato  dall'art. 4-quinquiesdecies,  decreto-legge  n. 272/2005,
stabilisce  che, «per le finalita' indicate nel comma 1 dell'articolo
100  del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del
Presidente  della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917, le regioni e le
province  autonome  di  cui  al  comma  1  sono  abilitate a ricevere
erogazioni  liberali  fatte  ai  sensi  del  comma 2, lettera a), del
suddetto  articolo»,  e che esse «ripartiscono le somme percepite tra
gli  enti  di  cui  all'articolo  115,  secondo i programmi da questi
presentati».  Posto  che  tale  disposizione  non  e'  in quanto tale
oggetto  di  impugnazione,  giova  ricordare che l'art. 100, comma 1,
d.P.R.  n. 917/1986  regola  la  deduzione  degli  «oneri di utilita'
sociale»,  disponendo  che  «le  spese  relative  ad  opere o servizi
utilizzabili   dalla   generalita'  dei  dipendenti  o  categorie  di
dipendenti  volontariamente  sostenute  per  specifiche  finalita' di
educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o
culto,  sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al
5  per  mille  dell'ammontare  delle  spese per prestazioni di lavoro
dipendente   risultante  dalla  dichiarazione  dei  redditi»;  e  che
l'art. 100,  comma  2,  lett.  a)  dichiara  deducibili  dal  reddito
d'impresa   «le   erogazioni  liberali  fatte  a  favore  di  persone
giuridiche  che  perseguono  esclusivamente  finalita'  comprese  fra
quelle  indicate  nel  comma  1  o finalita' di ricerca scientifica»,
nonche'  i  contributi, le donazioni e le oblazioni erogati in favore
delle organizzazioni non governative.
    Qui  censurata  e'  invece  la ulteriore norma secondo la quale i
criteri  di  riparto  delle somme tra gli enti destinatari (gruppi di
volontariato   ed   enti   senza   fine   di   lucro)  devono  essere
«predeterminati dalle rispettive assemblee» regionali.
    Come  risulta  da  consolidata  ed ormai risalente giurisprudenza
costituzionale,  la  legge  statale  non  e' abilitata ad individuare
l'organo  regionale  competente  a  compiere  un certo atto, dato che
l'organizzazione regionale, nelle parti in cui non sia predeterminata
dalla  Costituzione,  ricade nella esclusiva competenza dello statuto
regionale e delle leggi regionali ordinarie.
    Dunque, il nuovo art. 116, comma 9, e' illegittimo nella parte in
cui  affida  ai consigli regionali il potere di determinare i criteri
di  riparto  delle  somme ricevute tramite le erogazioni liberali, in
quanto esso lede l'autonomia organizzativa regionale, con conseguente
violazione dell'art. 117, comma 4, Cost.
    5)  Illegittimita'  dell'art. 4-undecies,  in  relazione al nuovo
art. 94, comma 1, d.P.R. n. 309/1990.
    L'art.   4-undecies   sostituisce  l'art.  94,  comma  1,  d.P.R.
n. 309/1990.   La  nuova  disposizione  stabilisce  che  il  detenuto
tossicodipendente   o   alcooldipendente,  «che  abbia  in  corso  un
programma  di  recupero  o  che  ad  esso intenda sottoporsi,... puo'
chiedere  in  ogni  momento  di  essere affidato in prova al servizio
sociale  per proseguire o intraprendere l'attivita' terapeutica sulla
base  di  un  programma  da  lui  concordato  con  un'azienda  unita'
sanitaria  locale  o  con  una struttura privata autorizzata ai sensi
dell'articolo  116».  Alla  domanda  deve essere «allegata, a pena di
inammissibilita',   certificazione   rilasciata   da   una  struttura
sanitaria  pubblica  o  da  una  struttura  privata  accreditata  per
l'attivita'   di   diagnosi   prevista   dal  comma  2,  lettera  d),
dell'articolo  116  attestante  lo  stato  di  tossicodipendenza o di
alcooldipendenza,  la procedura con la quale e' stato accertato l'uso
abituale   di   sostanze   stupefacenti,   psicotrope   o  alcoliche,
l'andamento  del programma concordato eventualmente in corso e la sua
idoneita',  ai  fini del recupero del condannato». Infine, il comma 1
precisa  che,  «affinche'  il  trattamento  sia eseguito a carico del
Servizio sanitario nazionale, la struttura interessata deve essere in
possesso  dell'accreditamento istituzionale ... ed aver stipulato gli
accordi   contrattuali   di   cui  all'articolo  8-quinquies»  d.lgs.
n. 502/1992.
    Anche  in  questo  caso la legge n. 49/2006 equipara le strutture
private  (quelle meramente autorizzate nel primo periodo del comma 1,
quelle  accreditate  nel  terzo  periodo)  a  quelle  pubbliche. Tale
equiparazione   risulta,   ad   avviso   della   ricorrente  regione,
costituzionalmente illegittima.
    In particolare, il nuovo art. 94, comma 1, terzo periodo viola le
competenze regionali in materia di tutela della salute e di politiche
sociali   (art.   117,  commi  terzo  e  quarto,  Cost.)  in  quanto,
equiparando  le  strutture  private  a  quelle  pubbliche ai fini del
rilascio  della  certificazione (e, implicitamente, dello svolgimento
del  programma),  detta una norma di dettaglio in materia regionale e
regola  un punto la cui disciplina spetta all'autonomia organizzativa
regionale.
    Non si vede infatti come possa essere affermato che la previsione
del  potere  di  rilascio  di un determinato certificato da parte una
struttura  privata autorizzata o accreditata rappresenti un principio
fondamentale  (e, meno ancora, ovviamente un livello essenziale delle
prestazioni).   Trattasi   di   norma   puntuale,   che  interferisce
illegittimamente nell'autonomia regionale nelle materie di cui sopra.
    Inoltre,   essa   interferisce   con   la   responsabilita'   che
costituzionalmente spetta alle regioni di disciplinare la titolarita'
e  l'esercizio  dell'azione  amministrativa,  con  violazione,  sotto
questo  profilo, anche dell'art. 118 Cost. La norma statale costringe
invece  le regioni ad affidare parte della funzione amministrativa ad
entita'  determinate.  Ancora,  tali  entita' sono strutture private,
delle  quali  la  regione  non puo' essere costretta ad avvalersi per
l'esercizio  di  funzioni  solo ad essa spettanti, e delle quali solo
essa puo' affidare l'esercizio in termini di propria responsabilita'.
    Inoltre,  e'  violato l'art. 119 Cost., per le ragioni gia' viste
nei  punti  1 e 3, la' dove si sono censurate le norme sulla liberta'
di scelta degli utenti. Infatti, affidandosi il potere certificatorio
(e   i   relativi  programmi  di  recupero)  alle  strutture  private
accreditate,  l'ammissione  dei  detenuti ai programmi di recupero si
svolge  al  di fuori di ogni valutazione da parte delle regioni, che,
quindi, potrebbero essere costrette a stipulare ulteriori convenzioni
o  a  non  porre  limiti  negli  accordi  contrattuali  stipulati  ex
art. 8-quinquies, d.lgs. n. 502/1992.
    6)  Illegittimita' di tutte le disposizioni impugnate, come sopra
individuate, per violazione del principio di leale collaborazione.
    Come accennato, le disposizioni impugnate sono state inserite nel
decreto-legge  n. 272/2005 nel corso del procedimento di conversione,
in   un   decreto-legge   al   cui   oggetto  le  nuove  norme  erano
sostanzialmente   estranee:  in  questo  modo,  si  e'  stravolto  il
contenuto  del  decreto  e  si  e'  operata  -  in una sede del tutto
impropria  ed  impropriamente  utilizzando le procedure proprie della
legge di conversione - una vera e propria riforma della materia della
tossicodipendenza.
    Operando  in questo modo, inoltre, lo Stato ha omesso di svolgere
le  procedure  collaborative con le regioni, prescritte dall'art. 24,
d.lgs.  n. 281/1997, per i disegni di legge che riguardano le materie
regionali.  Non  e'  neppure  stata  operata  la  c.d.  consultazione
successiva di cui all'art. 2, comma 5, d.lgs. n. 281/1997 (in base al
quale,  «quando il presidente del Consiglio dei ministri dichiara che
ragioni  di  urgenza  non  consentono la consultazione preventiva, la
Conferenza  Stato-regioni e' consultata successivamente ed il Governo
tiene  conto  dei  suoi  pareri: a) in sede di esame parlamentare dei
disegni di legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge»).
    Tale norma deve essere considerata quale traduzione operativa del
principio  costituzionale  di  leale collaborazione, per cui le norme
impugnate risultano illegittime anche sotto questo profilo.
    Ne'  e'  possibile  sostenere che l'art. 2, comma 5, configuri la
consultazione «successiva» come meramente eventuale. Non solo infatti
la   disposizione   di   legge   non   prevede  una  possibilita'  di
consultazione,   ma  stabilisce  che  «la  Conferenza  e'  consultata
successivamente»,  ponendo chiaramente un dovere di consultazione, ma
la   stessa  riconduzione  di  tale  dovere  al  principio  di  leale
collaborazione ne mostra la natura cogente.
    Pertanto,  ad  avviso  della  ricorrente  regione,  la  legge  di
conversione  adottata  senza  parere  e'  una  legge affetta da vizio
procedimentale,  sindacabile  da  codesta  Corte  in quanto l'art. 2,
comma 5, costituisce traduzione del principio costituzionale di leale
collaborazione nel quadro della procedura di emanazione e conversione
dei decretilegge.
    Si  consideri  anche  che  il vizio procedimentale qui denunciato
implica un grave disconoscimento della posizione costituzionale delle
regioni:   poiche'   la  riforma  del  d.P.R.  n. 309/1990  e'  stata
realizzata  nell'ambito  di  un  procedimento  di  conversione  di un
decreto-legge,  essa e' avvenuta con una procedura accelerata, in cui
le  numerose modifiche sono state inserite nell'allegato all'articolo
unico della legge di conversione.
    In  questa  situazione,  l'unico modo in cui le regioni avrebbero
potuto  -  se  le  regole  costituzionali  fossero state rispettate -
esprimere  la  propria  posizione  era proprio la consultazione della
Conferenza,  non  a  caso  espressamente  prevista  come obbligatoria
dall'art.  2,  comma  5,  d.lgs.  n. 281/1997.  L'omissione di questa
consultazione  ha, dunque, completamente «tagliato fuori» le regioni,
che  hanno  solo  potuto  prendere  atto  dell'avvenuta riforma di un
settore in cui hanno potesta' legislativa.
    La violazione del principio di leale collaborazione risulta, poi,
particolarmente  grave per l'art. 4-quinquiesdecies, che - secondo la
prospettazione  della  norma impugnata - definisce livelli essenziali
delle  prestazioni.  Infatti, come noto, per l'individuazionc dei LEA
e'  ormai  consolidato  nell'ordinamento il principio dell'intesa (v.
l'art.  6 del decreto-legge n. 347/2001, il d.P.C.m. 29 novembre 2001
e successivamente l'art. 54 legge n. 289/2002).
    La  necessita'  di un'intesa fra Stato e regioni sui LEA e' stata
sostenuta  dalla  dottrina  prevalente,  in relazione alle materie di
competenza   regionale,   sia   in  virtu'  del  principio  di  leale
collaborazione  sia  al  fine di responsabilizzare le regioni, tenute
poi  ad  assicurare  l'erogazione  delle prestazioni. Essa inoltre e'
necessaria  per impedire che alle regioni siano addossati oneri privi
di copertura.
    Anche  la  giurisprudenza  costituzionale  ha piu' volte chiarito
che,  pur  nelle  materie  di  competenza esclusiva, e' necessario un
coinvolgimento    delle   regioni,   quando   le   funzioni   statali
interferiscono con materie regionali (v. sentt. nn. 308/2003, 31/2005
e 279/2005). Se esiste, come ha attestato codesta Corte, un principio
costituzionale  in base al quale la connessione tra materia statale e
materie  regionali  impone  procedure cooperative, tale principio non
puo'  valere  solo  per  l'esercizio della funzione amministrativa ma
deve  valere  anche  per  la  funzione legislativa: a maggior ragione
quando  la connessione e' assai forte, come nel caso di norme statali
che definiscono (o almeno, come sopra esposto, ritengono di definire)
livelli   essenziali  delle  prestazioni  in  materie  di  competenza
regionale,  cosi  condizionando direttamente l'attivita' legislativa,
amministrativa e finanziaria regionale.
    Codesta  Corte  ha in passato, sia pure in casi diversi da quello
presente,   negato   l'esistenza   di  un  fondamento  costituzionale
all'obbligo    di   procedure   legislative   ispirate   alla   leale
collaborazione  tra  Stato  e  regioni.  Sia  consentito  tuttavia di
osservare  che,  se la ratio del principio di leale collaborazione e'
contemperare  gli  interessi  in  caso  di  interferenze fra funzioni
facenti capo ad enti diversi, e se esso ha, come non e' dubbio, rango
costituzionale,  non  vi  e'  ragione  per  distinguere  tra funzione
legislativa  e funzione amministrativa. Si dovrebbe anzi ritenere che
proprio  in  relazione alla funzione piu' importante risulti maggiore
l'esigenza della leale collaborazione.
    Del   resto,  gia'  la  sentenza  n. 398/1998  ha  annullato  una
disposizione  legislativa  statale  per  mancato coinvolgimento delle
regioni nel procedimento legislativo (punto 12 del Diritto).